Kintsugi: il cuore dorato della resilienza
di Manuela Metra.
La visione goethiana del mondo permette di vedere dei collegamenti, anche quando questi, non troppo evidenti, passano inosservati e di stabilire un ponte tra la concezione occidentale devota all’azione e quella orientale devota alla contemplazione. Uno di questi è il rapporto esistente tra resilienza, rottura, metamorfosi e curva di apprendimento. Negli ultimi anni alcune parole sono divenute simbolo di qualcosa che va oltre il loro stretto significato, prese da settori tecnici, e portate nel lessico quotidiano con un valore aggiunto, la resilienza è una di queste. In ingegneria la resilienza è la capacità di un materiale di reggere all’urto senza rompersi. Si fanno dei test, delle prove, si analizza la sollecitazione dinamica d’urto. E’ una proprietà importante che, in presenza di organi sottoposti ad urti, va incrementata. Un materiale con bassa resilienza è fragile. Da qui si deduce che la resilienza, nell’uomo, per estensione, sia la capacità psicologica o emotiva, di far fronte alle crisi della vita, ai colpi che l’esistenza riserva, sotto le più svariate forme. La fede nella resistenza è tutta occidentale, è la fede nell’azione, nell’abilità dell’uomo di plasmare il proprio destino. Questo aspetto è pienamente condivisibile e auspicabile, ma ci sono settori in cui le leggi cambiano e tutto questo resistere porta solo ad una grande stanchezza ed esaurimento, ambiti in cui per vincere bisogna lasciare andare. La sfera degli affetti è uno di questi, segue leggi proprie. Ci sono cuori che non vengono usati nemmeno una volta nella vita, cuori che hanno crepe dovute all’usura, cuori impavidi che si sono spezzati anche più di una volta. Ci sono situazioni che davvero portano ad una rottura, seppure da qualche altra parte si sta resistendo.E resistere è solo un atto che sta fermando il fluire delle cose. Infatti, se una cosa deve rompersi, meglio che si rompa senza impiegare troppe energie a resistere. Queste rotture del cuore sono difficili da vedere, da ammettere e da curare. Ma una volta capito cosa è successo il kintsugi ci offre una prima prospettiva di guarigione con la poesia elusiva che solo il Giappone può donare. Una tecnica che è anche metafora: Il kintsugi è l’arte di riparare le ceramiche rotte. Una ceramica rotta viene aggiustata utilizzando un impasto con dell’oro, un materiale prezioso, da sempre simbolo del legame tra cielo e terra. Queste giunture doneranno al pezzo una nuova bellezza. Certo, l’oggetto sarà fragile, ma avrà acquisito una qualità unica, speciale. Una sorta di consapevolezza, essendosi scontrato con la vita. Si può pensare di portare il concetto del kintsugi su un piano più sottile, e, per estensione, trovare il modo di curare e sistemare il cuore, la parte che ha subito il danno. Curare è la parola giusta. Bisogna avere cura, prendersi un intervallo e fare un’azione. Trovare un materiale prezioso come l’oro e sanare, aggiustare. Con del tempo, da dedicare al processo di guarigione. Questa azione è una trasformazione, una metamorfosi del dolore, della frattura. Trasformare significa che quello che c’era prima e quello che ci sarà dopo saranno cose diverse ma con un legame vivente che le ha metamorfosate. E’ l’aspetto creativo che compie questa operazione di guarigione e porta con sé nuove capacità, influendo sulla curva di apprendimento. E’ necessario trovare un metodo personale per fare il kintsugi, quando qualcosa si rompe. Questo oro personale da usare per rimettere insieme i pezzi deve avere una componente creativa per attuare il rinnovamento. Fare fotografie, dipingere, cucinare, ma con la coscienza di quello che si sta andando a trasformare. Il kintsugi, potrebbe essere inteso come il cuore d’oro della resilienza, porta in sé una bellezza rigorosa, una fierezza nel mostrare le cicatrici vestite d’oro ed esibite con consapevolezza.