Nell’era del digitale, che non demonizzo assolutamente, anzi uso ed apprezzo per i suoi evidenti punti di forza, esiste una via che unisce la fotografia alla meditazione mantenendo vivo il processo artistico. Quando da ragazza ho lavorato nel prestigioso studio fotografico Artico, sono entrata in contatto con una macchina fotografica affascinante, l’Hasselblad, ogni tanto caricavo la pellicola, con mani tremanti, per timore che uno scatto andasse perduto o per paura di fare semplicemente una sciocchezza che invalidasse il lavoro del capo.Di quel periodo conservo il ricordo della macchina, l’Hasselblad appunto, della camera oscura, altro luogo alchemico, della sala di posa per i ritratti, e delle fasi del lavoro, fondato su professionalità, competenza tecnica e tradizione. Lo scatto e il negativo erano parole con un peso. Ad anni di distanza, dopo la formazione artistica, sfiancata da tonnellate di terra da impastare per la ceramica, e sepolta viva tra tele che si misurano in metri quadri, quelle dei miei quadri, ho ripreso in mano la fotografia e la macchina fotografica. Una digitale che monta vecchie ottiche, e finalmente una Hasselblad 500 C/M, mia adesso. Con la prima pellicola che ho caricato le mani mi tremavano, come vent’anni fa, e un mare di ricordi, lambiti da parole tecniche, mi ha travolto. Guardare nel mirino a pozzetto, comporre una fotografia in medio formato, mettere a fuoco…è stato entrare in un’altro mondo, fatto di storia e di cose costruite per durare, la mia Hasselblad, come tutte quelle della serie, non ha l’esposimetro, nemmeno le pile, è tutta meccanica, che sorpresa e che sollievo. Così è iniziato un viaggio che sembra una meditazione. Ogni scatto delle 12 pose a disposizione è studiato, pensato. Poi di corsa dallo stampatore per fare lo sviluppo e i provini a contatto che saranno pronti dopo una settimana. La stampa in bianco e nero decisa con lui, è un’ altra fase importante del lavoro e quasi un mondo a parte, fatto di parole e affinità proprie, un luogo per iniziati. Si parla di neri di velluto, bianchi morbidi, carte perla, composizione….la profondità di campo poi è una questione animica come tutto quello che riguarda lo scatto. Io, quando vado a ritirare il lavoro sono “quella che fa la Fine art”, genere spartiacque evidentemente. La scultura è volume, la pittura superficie e la fotografia un dipinto realizzato con la luce. La cosa incredibile di questa macchina è la capacità di essere composta su misura, si adatta al tempo e al momento, si possono collegare i flash, si può montare un dorso digitale e diventa una macchina digitale, è sempre lei, la stessa, poi di nuovo pellicola, colori o bianco e nero. Non ci sono limiti ma solo opportunità di uno strumento nato dalla mente di un grande. E pensare che per me tutto è nato vent’anni fa, si è trattato di amore, anche se allora non lo sapevo: one life, one love.
Il processo artistico si può salvaguardare in qualsiasi azione, parte da dentro e poi si trova lo strumento adatto…Fermarsi per fare uno scatto si può, e poi magari decidere che quel momento è solo per se’, e lo scatto sarà per un’altra volta…..