
l’arteterapia cosa è?
L’arteterapia cosa è? Domanda piuttosto lecita, che spesso mi viene posta, per rispondere alla quale ho pensato di fare una panoramica sull’arte in generale e sulla sua trasformazione in strumento terapeutico riconosciuto professionalmente.
L’arteterapia è un intervento di aiuto e sostegno alla persona, il terapeuta e il paziente utilizzano lo strumento artistico all’interno del processo terapeutico artistico. È da sottolineare la differenza tra linguaggio verbale, con le sue aree di afferenza e linguaggio visivo, il quale porta alla luce emozioni, sentimenti e il vissuto del paziente, senza mediazione da parte dell’intelletto, attraverso l’elaborato artistico in accordo con le parole di Paul Klee: “l’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile”[1].
Così nel lavoro artistico, il paziente con gli strumenti artistici quali: argilla, acquarello, matite, gessetti etc, attraverso un percorso terapeutico può elaborare il proprio vissuto, senza passare attraverso la verbalizzazione. Il setting vede il terapeuta, il paziente e lo strumento artistico, legati attraverso il processo terapeutico artistico.
Dall’arte alla terapia artistica
L’arte è espressione libera dell’uomo che crea non per uno scopo utile ma per dare risonanza alle proprie istanze animico spirituali. La caverna di Lascaux rappresenta la nascita ufficiale dell’arte[2], attraverso la creazione delle prime espressioni artistiche vediamo l’apparire dell’uomo in quanto tale e la fine della sua vita primitiva prossima alla condizione animale. L’arte inizia quindi 18.000 anni fa il suo viaggio attraverso varie epoche di cultura, inizialmente ricoprendo funzioni celebrative, religiose, politiche, educative e commemorative, mentre la figura dell’artista rimaneva anonima fino ad arrivare al Rinascimento, momento in cui la figura dell’artista si emancipa definitivamente dall’artigiano, al quale era stato equiparato fino ad allora. Cambia la percezione dell’arte e della figura dell’artista. L’arte ora ha una funzione più intima e individualizzata come ad esempio lo state portrait, ed entra nell’olimpo delle arti liberali, avviene il passaggio dall’idealizzazione all’individualizzazione, visibile nella produzione artistica di ritratti sempre più realistici e ambientati. L’arte ha un suo modo di conoscere e indagare, ha un linguaggio proprio attraverso cui raggiunge verità non altrimenti afferrabili. L’arte indaga con Leonardo i moti dell’anima, e la natura diviene elemento da afferrare con coscienza[3], con Michelangelo[4] la volontà, il mondo che scorre nella sua Firenze e il sentire con Raffaello. Con la scuola fiamminga assistiamo alla nascita della pittura ad olio, e viene così estratta in modo profondo e sentito l’interiorità umana, portata alla superficie attraverso veli di colore. Si arriva all’autoritratto nelle Fiandre e alla nascita della prospettiva in Italia, l’uomo è posto al centro. Con il chiaroscuro di Rembrandt vediamo l’anima lottare per essere portata alla luce ed emergere progressivamente, velo dopo velo per rivelarsi a se stessa, per essere afferrata con coscienza. La relazione tra opera e artista è ora intima e rivelatrice, strumento di indagine che culmina appunto nell’autoritratto. Da qui in avanti l’arte è sempre più relazione, rivelazione e conoscenza, è reale e concreta, e allo stesso tempo rispondendo alle tensioni interiori rivela l’elemento terapeutico, trasformativo per l’artista che crea e per chi incontra l’opera[5] stessa. L’aspetto terapeutico è inizialmente lasciato all’artista, a chi ha una particolare inclinazione e formazione svelando più tardi una relazione tra genio e sregolatezza nell’epoca romantica.
Con la nascita delle prime strutture psichiatriche[6] alcuni psichiatri notano la necessità dei pazienti di esprimersi attraverso un elaborato artistico, osservando al contempo interessanti ricadute estetiche e diagnostiche. Si tenta così una prima classificazione sistematizzata degli elaborati dei pazienti. Nascono degli atelier negli istituti psichiatrici. Con la diffusione della psicoanalisi nei primi del novecento l’impiego dell’arte nella terapia inizia a ricoprire una certa importanza, rivelando l’aspetto propriamente terapeutico della creazione artistica. Dalla Bauhaus a Terezin vediamo con Friedl Dicker-Brandeis, artista e pedagoga, l’arte farsi strumento terapeutico per rendere l’esperienza del campo di concentramento più umana. La capacità di saper scorgere la bellezza anche in situazioni critiche e disperate fa la differenza, hanno maggiori possibilità di sopravvivere nel campo di concentramento coloro che, nonostante le proprie fragilità, riescono a sottrarsi allo spaventoso ambiente che li circonda “volgendosi ad un regno di libertà spirituale e di ricchezza interiore”[7]. Saper leggere la bellezza e coltivare il senso estetico sono capacità che fanno la differenza tra la vita e la morte come spiega Viktor E. Frankl, la bellezza ha infatti capacità terapeutiche. Interessante anche l’aspetto dell’Atelier Closlieu creato da Arno Stern per accogliere gli orfani di guerra, progetto che sottolinea, ancora una volta, l’aspetto terapeutico della creazione artistica[8]. L’arteterapia ormai ha una identità propria caratterizzata dalla duplice natura artistica e terapeutica. Sganciata dalle esigenze squisitamente estetiche, tipiche dell’arte, rivela la sua efficacia nel rapporto terapeutico col paziente attraverso il processo artistico.
Salutogenesi
L’arteterapia si rivolge alla parte vitale e sana del paziente, visione che porta in ambito medico al paradigma della salutogenesi che, a differenza della patogenesi, è un modello che mette al centro il concetto di salute e benessere. Venne sviluppato dal sociologo e medico Israeliano Aaron Antonovsky (1923-1994). La patogenesi si occupa di indagare le cause della malattia, la salutogenesi al contrario ricerca le cause della salute, quello che permette all’uomo di restare in salute. Il punto centrale non è preservare l’individuo a tutti i costi dal contagio di un virus o da una malattia, ma metterlo in condizione di affrontare l’evento traumatico e superarlo. Nelle ricerche effettuate da Antonovsky su un gruppo di donne sopravvissute all’olocausto, donne che godevano di grande salute, è emerso chiaramente che il punto importante non è evitare la malattia, ma poterla superare, integrandola in un’esperienza.
Quali sono quindi i requisiti per mantenersi in salute? Rudolf Steiner già nel 1920 auspicava che la medicina fosse inserita in un contesto più ampio, e che il medico vedesse il paziente come parte dell’intera umanità, un individuo inserito in un tessuto sociale, composto da diversi aspetti, relazionali, spirituali, economici. Ogni singolo individuo è influenzato e influenza il contesto in cui vive. La connessione con una visione più ampia è già di per sé un fattore salutogenico, inserisce infatti l’individuo in un contesto, dando all’uno come all’altro un significato: un motivo. Al contrario, la scissione dal tessuto sociale, la visione frazionata dell’esistenza e di come l’individuo vive separato nel mondo, favoriscono la malattia, e sono un sintomo che può diventare malattia all’interno di un sano percorso evolutivo. Malattia quindi come scissione di una parte dal tutto, un processo che lavora in modo separato con una propria autonomia, sia all’interno dell’organismo biologico, sia all’interno dell’organismo sociale – un aspetto non può essere considerato senza l’altro. Integrità, significato e scopo sono collegati in questa visione ampia che favorisce la salute. All’interno di questo paradigma, che rovescia completamente la visione meccanicistica della malattia, vediamo che emerge come naturale conseguenza la capacità di metamorfosare un’esperienza, per quanto traumatica e dolorosa, per andare avanti, integrandola. Negli ultimi anni questo aspetto ha trovato nel termine resilienza una specie di sintesi. In realtà la resilienza è la capacità di un materiale di assorbire l’urto senza rompersi. Poi però deve avvenire tutta una serie di passaggi per portare il trauma ad una trasformazione e alla conseguente integrazione. Per metamorfosare appunto l’esperienza.
Cosa favorisce quindi la salute in ultima istanza in un’ottica di prevenzione? Secondo la ricerca di Aaron Antonovsky: coltivare un senso religioso, le conoscenze spirituali; coltivare relazioni ricche, sane; essere sicuri sul piano fisico[9].
Arte o Terapia?
La natura relativamente recente dell’arteterapia rende difficoltoso l’inserimento di questa prassi terapeutica all’interno del mondo della medicina. Abbiamo parlato della salutogenesi come di un nuovo paradigma che si fa strada nella medicina in alternativa alla patogenesi, ma come si pone la medicina nei confronti dell’arte come terapia? La scienza nel suo complesso si fonda sul metodo empirico, quindi sulla riproducibilità dei risultati a seguito di osservazioni inserite in un ambiente controllato. Il risultato è acquisibile secondo i criteri di quantità, peso, misura.
Questo in linea generale e con una certa semplificazione.
La terapia artistica, come terapia artistica clinica, si trova di fronte ad un quesito: “come si può misurare il risultato di un processo terapeutico artistico?”
Steiner con il lavoro del rinnovamento delle arti ha preparato la strada portando alla luce l’oggettività del colore, le leggi che sottendono la forma e collocando gli strumenti dell’arteterapia in un contesto più ampio. Nella teoria dei colori di Goethe abbiamo visto l’azione sensibile e morale del colore[10], studi ripresi e sviluppati da Steiner[11] poi per oggettivare alcuni aspetti dell’arte.
Ad una prassi metodologica di osservazione scientifica basata sul metodo goethiano e ad elementi riconosciuti oggettivamente, come l’essenza del colore, forma, segno grafico, si unisce – nel processo terapeutico artistico però – un elemento ogni volta unico, l’individuo. Ogni biografia è infatti assolutamente unica. Quindi troviamo coesistenti – nell’arteterapia – aspetti “scientifici” riconducibili a parametri, da una lato, e aspetti del tutto unici e irripetibili, riconducibili esclusivamente all’individuo, dall’altro.
L’arteterapia manca, quindi, dal punto di vista scientifico attuale, della riproducibilità. Dobbiamo tenerne conto, anche se, grazie ad alcuni studi clinici come:
Harald J. Hamre et al., Anthroposophic Art Therapy in Chronic Disease: A Four-Year Prospective Cohort Study[12];
Joshua N., Rainbow T. H. Ho, Effects of Clay Art Therapy on Adults Outpatients with Major Depressive Disorder: A Randomized Controlled Trial [13]
si può stabilire un effettivo beneficio, quantificabile nel fare arteterapia:
Patients receiving anthroposophic art therapy had long-term reduction of chronic disease symptoms and improvement of quality of life[14].
The positive results demonstrated that short-term therapeutic clay work treatment guided by art therapy can supplement pharmacological treatment, not only in symptoms reduction, but also in positively strengthening daily functioning (Choi & Park, 2012) and enhancing personal strength, intra-personal and inter-personal connections (Sholt & Gavron, 2006)[15].
In tal senso, in quanto arte e terapia, la terapia artistica deve rispondere alla doppia sfida di seguire una metodologia scientificamente accettabile, e mantenere l’aspetto tipico dell’arte, cioè di essere unica e distintiva, rispettando l’individualità e il percorso di ogni paziente. Questa polarità intrinseca nel lavoro arteterapeutico è ciò con cui il terapeuta deve misurarsi, l’aspetto gnoseologico.
Arteterapia e Oncologia
Nell’ambito oncologico l’arteterapia clinica può offrire un contributo andando a rispondere al bisogno tipico del paziente che si trova ad affrontare un momento critico, accompagnandolo attraverso le fasi della terapia fino ad arrivare all’hospice nel caso in cui la malattia abbia avuto il sopravvento. L’arteterapia rimette in moto i processi che sono stati interrotti o bloccati dalla malattia, quei processi che sono stati soverchiati da altri, aumenta il benessere mentale, fisico ed emotivo del paziente dimostrando un decremento del dolore, degli stati di ansia e depressione.[16] [17]
In alcuni casi, come per la paziente R. di 12 anni e il paziente S. di 9 anni, l’arteterapia è in grado di agganciare il paziente e rimettere in moto quanto la malattia ha interrotto, aprendo un dialogo attraverso il processo terapeutico artistico.
Arteterapia una cura per la vita
“Stare in silenzio, ascoltare, esserci”[18] attraverso il processo terapeutico artistico, accompagnare il paziente, sono elementi fondamentali del laboratorio di arteterapia. “Death and dying” è qualcosa di individuale per ogni persona, ma ha anche degli aspetti ricorrenti, il coinvolgimento della famiglia, del personale, dei caregivers e la necessità del paziente di lasciare una traccia, bisogno accolto dall’elaborato artistico che resta come ponte e come testamento. L’arteterapia come nel caso di D. 11 anni, ha accompagnato la paziente nei suoi ultimi momenti, andando a raccogliere la sua richiesta di lasciare una traccia, attraverso una serie di lavori realizzati pochi giorni prima di essere ricoverata all’hospice. D. aveva deciso di preparare degli elaborati per i fratelli e per le sue amiche. L’elaborato artistico assume un’importanza vitale negli ultimi istanti della propria vita, sia per il paziente, sia per i famigliari, essendo l’ultima traccia tangibile che rimane.
“Non possiamo aiutare i pazienti in questa parte della vita se neghiamo che ci saranno dei momenti davvero duri”[19] e l’arteterapia ha la possibilità e gli strumenti di arrivare, attraverso il processo terapeutico artistico, fino alla soglia, accogliendo la domanda del paziente, le sue paure, le sue emozioni, la consapevolezza che ci porta incontro e in bisogno di confrontarsi con la parte spirituale, senza passare attraverso la parola.[20]
Differenze tra terapia occupazionale e arteterapia
La terapia occupazionale che può essere organizzata all’interno dell’ospedale con l’allestimento di un laboratorio artistico differisce dall’arteterapia in modo sostanziale, pur avendo in comune con quest’ultima l’utilizzo di strumenti artistici come il colore, l’argilla, i gessetti e tutti quei materiali che il laboratorio di terapia occupazionale prevede di utilizzare. A parte questo aspetto in comune, cioè i materiali, l’arteterapia si discosta da un laboratorio artistico occupazionale o di intrattenimento in quanto l’arteterapeuta fa un’anamnesi del paziente, una diagnosi, si pone degli obiettivi terapeutici attraverso un percorso terapeutico artistico che avviene all’interno di un processo artistico. Il paziente ha una sua cartella clinica nella quale vengono annotati i progressi e l’evoluzione del percorso. L’arterapeuta possibilmente, ove le condizioni lo consentano, lavora in equipe con altre figure, come il medico curante, lo psicologo clinico, il personale infermieristico e gli operatori socio-sanitari, gli educatori.
Se un laboratorio artistico assolve la funzione di intrattenimento, un laboratorio di arteterapia ha invece una funzione terapeutica, a cui si può rivolgere chiunque desideri fare un percorso su di sé, sia che stia attraversando un momento di crisi, di malattia, di stress, oppure semplicemente per restare centrato, come una buona pratica di consapevolezza.
Dietro la ricerca della salute che ogni paziente
cerca con il medico e il terapeuta, c’è la richiesta:
“Aiutami a trovare nel processo terapeutico
il nucleo più profondo del mio essere
perché non sono solo la mia malattia […]
Aiutami a capire il significato della mia malattia
ad affrontarla in modo creativo.”
Così la malattia per il futuro può essere
quello che la risorsa dell’arte è per l’artista:
un compito!
Marianne Altmaier
[1]P. Klee, Creative Credo, in: Paul Klee, Notebooks Volume 1 The thinking eye, Lund Humphries, London, 1969, pag. 76 (trad. italiana: P. Klee, Confessione creatrice e altri scritti, Abscondita, Milano, 2019).
[2] Georges Bataille Lascaux. La nascita dell’arte, Abscondita, Milano, 2020.
[3] Karl Jaspers, Leonardo Filosofo, Abscondita, Milano, 2001.
[4] Häussler, H. G., Il segreto della forma in Michelangelo. Le figure della Sagrestia nuova, Venezia, Edizioni Arcobaleno, 2002.
[5] Steiner, R., Storia dell’arte, specchio di impulsi spirituali, 5 voll., Milano, Editrice Antroposofica, 1991-1997.
[6] Tratto da: <https://lyceum.it/academy/arteterapia-clinica/origini-dellarteterapia/>.
[7] Viktor E. Frankl Uno psicologo nei lager, Edizioni Ares, Milano 2013, pag.72.
[8] Arno Stern da: <https://arnostern.com/it/biografia.htm>.
[9] I rimandi obbligati sono: Antonovsky, A., Health, stress and coping, San Francisco, Jossey-Bass, 1979; Id., Unraveling the mystery of health, San Francisco, Jossey-Bass, 1979. Una esposizione divulgativa del lavoro di Antonovsky e dei tre principi sopraindividuati si può trovare in: Glöcker, M., Salutogenesi: le fonti della salute fisica, psichica e spirituale, in: liberascuola-rudolfsteiner.it <http://www.liberascuola-rudolfsteiner.it/2017/12/30/salutogenesi-le-fonti-della-salute-fisica-psichica-e-spirituale/> (2017)
[10] Goethe, J. W., La teoria dei colori, Milano, Il Saggiatore, 2014, pagg. 189-214.
[11] Steiner, R., L’essenza dei colori, Milano, Editrice Antroposofica, 2013.
[12] In: EXPLORE, Volume 3, Issue 4, July 2007, pagg. 365-371.
[13] In: Journal of affective disorders, Volume 217, 1 August 2017, pagg. 237-245.
[14] Harald J. Hamre et al., Ibidem, Abstract.
[15] Joshua N., Rainbow T. H. Ho, Ibidem, 4.1. Significance of the study.
[16] E. B. Elimimian, L. Elson, R.S.Butler, M.Doll, S. Roshon, C.Kondaki, A.Padgett and Z. A. Naheh A pilot study of improved psychological distress with art therapy in patients with cancer undergoing chemotherapy:
< https://bmccancer.biomedcentral.com/track/pdf/10.1186/s12885-020-07380-5.pdf >
[17] Kristina Geue, Heide Goetze, Marianne Buttstaedt, Evelyn Kleinert, Diana Richer, Susanne Singer An overview of art therapy interventions for cancer patients and the result of research:
< https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0965229910000373>
[18] Cicely Sunders Vegliate con me hospice un’ispirazione per la cura della vita, Itinerari EDB, Aprile 2008, pag. 44
[19] Ibidem, pag. 41.
[20] Cambridge University Press Art Therapy for terminal cancer patiences in a hospice palliative care unit in Taiwan <https://www.cambridge.org/core/journals/palliative-and-supportive-care>
Stupendo e fecondo lavoro…passione e tanta bellezza
Grazie Barbara, sono felice che ti sia piaciuto, ho sentito il bisogno di fare un pò di chiarezza, è importante distinguere l’arteterapia da cose che arteterapia non sono e valorizzare il lavoro di figure professionali che hanno seguito un iter formativo completo in questo campo, in modo che clienti, pazienti, organizzazioni e ospedali siano liberi di scegliere con qualche strumento in più la figura di riferimento che stanno cercando.